Sto con la mente sempre a riflettere sulle cose dell'arte, a costruire le forme, a cercare una sintesi con pochi gesti, una sintesi che possa rispecchiare la mia tensione, la mia creatività.(Antonio Del Donno)

domenica 8 gennaio 2012

Una mostra da non perdere!


Una scultura di Antonio Del Donno







Catalogo con testo critico di Filiberto Menna. Antologia critica. Appunti biografici. Antonio Del Donno vive e lavora a Benevento. `Mi capita quasi sempre di sentire che i miei quadri vengono recepiti come un qualcosa che va oltre il semplice fatto retinico. E questo mi rende felice, anzi direi che è tutto qui il successo: poter dare qualcosa agli altri è la funzione più bella che ci compete. E' qualcosa che ti riempie dentro e ti rende più ricco e potente di quanto non ti renda il denaro. Un medico che ridà la vita ad un uomo fa qualcosa di altrettanto creativo che fare un quadro. Ognuno è creativo nel proprio lavoro.`

I Vangeli di Antonio Del Donno

Assieme alla tagliola Del Donno elabora un altro oggetto-soggetto caro alla nostra cultura, il Vangelo, portato anch'esso a dimensioni assurde, realizzandolo in legno. E dal Vangelo viene estrapolata una frase, anche presente nelle opere successive, che riecheggia inascoltata, nel vuoto, come un motto beffardo: "E non siate conformati alle cose di questo mondo, ma trasformatevi nelle vostre menti". 



Il libro delle sculture di Antonio del Donno

Il libro può essere richiesto presso la Galleria IrpinArte.

Il significato della "tagliola" di Antonio Del Donno



Un semicerchio e delle linee; oltre due metri per una scultura in ferro battuto piatta e sottile come un disegno; tratto fermo che incide lo spazio con la sua bidimensionalità. Tagliola è il titolo di quest’opera di Antonio Del Donno (Benevento, 1927), concepita e realizzata nel 1972, parte di una più lunga serie di Tagliole, sia pitture che sculture, la cui realizzazione ha avuto termine nel 1983. 
Tagliola nacque in un momento preciso, in un contesto preciso: sono gli anni in cui il linguaggio sintetico e gestuale dell’artista va sempre più consolidandosi, gli anni della maturità artistica, di maggiore forza e vigoria. Escluso dalla redazione di una neo-nata rivista d’arte che nel Sud Italia, e a Benevento in particolare, (dove l’artista ha deciso di risiedere nonostante il decentramento e la marginalità rispetto alle “capitali” dell’arte) stava “reclutando” gli “addetti del settore” di “maggior rilievo”, Antonio Del Donno si sentì non solo schiacciato, vittima del potere, TAGLIATO fuori dall’ambiente artistico, ma soffocato ed oppresso da un mondo di piaggerie e compromessi cui non poteva sottostare. 

In questo clima di sfida e sfiducia nasce la Tagliola. 
Depurata dalle contingenze e dai rimandi al quotidiano, oggi che quegli umori sono sopiti e rimangono solo ricordi di gioventù, l’opera, messa in disparte per anni ma non dimenticata dall’autore, diventa simbolo, facendosi portatrice di significati universali di sofferenza, esclusione ed isolamento ma anche di risposta costruttiva ad un potere che spadroneggia, da dissacrare ed indebolire attraverso la forza dell’arte. 

 

Una tecnica mista su tela,cm 120x100

(Collezione Pasquale Avolio)

Un libro fondamentale sull'arte- pittura e scultura- di Antonio Del Donno

Il libro è in via di esaurimento. Per informazioni rivolgersi ad Alberto Molinari,titolare dell'Archivio Antonio Del Donno - Tel +39 348 492100 - info@archiviodeldonno.com.

Catalogo generale delle opere di Antonio del Donno

Curato da Alberto Molinari e dal Museo Antonio del Donno, è in progettazione il catalogo generale delle opere del Maestro. I collezionisti, interessati all'inserimento nel catalogo delle opere in proprio possesso, possono rivolgersi a: Archivio Antonio Del Donno - Tel +39 348 492100 - info@archiviodeldonno.com 


Del Donno - Tel +39 348 492100 - i

Due opere in mostra a Teramo


A Teramo un evento culturale unico!


Tecnica mista su tela,cm 80x80

Filiberto Menna, 1987



Tratto dal catalogo Mazzotta
Mi capita quasi sempre di sentire che i miei quadri vengono recepiti come un qualcosa che va oltre il semplice fatto retinico. E questo mi rende felice, anzi direi che è tutto qui il successo…" Forse può apparire singolare, e tutta prima, distraente una dichiarazione di poetica come questa, o, meglio una valutazione della propria opera in una chiave, appunto, "non retinica". Antonio Del Donno è troppo legato a una radice manuale, direi artigianale, nel senso più antico e nobile del termine, è troppo coinvolto dalle suggestioni provenienti dalla materia e dalla fattura, per poter pensare che l'opera finita parli non attraverso gli occhi, per pensare che noi gli prestiamo completamente fede quando si dice felice di un impatto non retinico del la sua opera. Eppure sentiamo che la sua notazione risponde ad una verità più profonda, che essa ci dà una chiave di lettura non convenzionale del suo lungo a tormentato lavoro di artista, vissuto in disparte, quasi ai margini del dibattito culturale considerato il più attuale a alla moda, ma attento ai mutamenti reali, ai cambiamenti che contano veramente nei percorsi dell'arte. Il fatto è che Antonio Del Donno è un artista che crede ancora, e fermamente, nel vero e nel falso, nell'autentico e nell'inautentico, che ha una moralità da affermare con il proprio lavoro. Direi che Del Donno è un moralista, se il termine non si accompagnasse spesso a una connotazione limitativa, se non addirittura negativa, in tempi come i nostri dove contano invece le disponibilità più flessibili, la spregiudicatezza a il cinismo. Ma bisogna intendersi: Del Donno, nonostante le apparenze, non è un misantropo, una sorta di moderno gentiluomo di campagna irto a scorbutico che aborre 1'attualità. Al contrario, egli ha seguito con attenzione il
divenire dell'arte, vivendone alcune fasi dall'interno (le fasi che sentiva a lui veramente congeniali); altre osservandole con occhio acuto, in grado di coglierne il senso più vero, Lui stesso ha detto che "1'attualità e la moda sono fattori costruttivi", ma lo sono solo quando "vengono filtrati attraverso la sensibilità dell'artista che se ne impossessa facendone espressione della propria identità". Tocchiamo qui il punto centrale della questione posta dall'opera di Antonio Del Donno a dalla stessa qualità umana dell'artista: ciò che Del Donno chiede all'arte, anzitutto alla sua, ma anche all'arte in generale, quella che egli definisce autentica e vera, è di farsi tramite per il raggiungimento di una identità, di una capacità di essere in mezzo agli uomini a alle cose contrassegnato dalla dimensione dell'autentico, L'opera d'arte è il tramite, il mezzo attraverso il quale 1'autore indica una via possibile di riscatto da una quotidianità troppo compromessa con un sistema di valori fondati sulla moda a sul denaro. In questo senso, niente affatto retrivo o misoneista, possiamo tranquillamente dire che Del Donno è un moralista e che la sua opera vuole essere portatrice di moralità. In fondo, il senso complessivo che si può cogliere nel suo lavoro è un atteggiarsi dell'intelligenza a della sensibilità nei confronti dell'attuale sistema di valori segnato da un accento fortemente critico, mentre viene riservata un'accoglienza tutta diversa a ciò che ha radici profonde in una condizione antropologica più disponibile all'incontro con la natura. In questo è da ricercare il motivo di una impressione ricorrente di fronte all'opera di Del Donno, di avvertire un accento antico, anzi arcaico, una parlata che sembra provenire da luoghi remoti, quasi dimenticati, ma che basta un gesto, un segno, un grumo di colore e di materia su un supporto povero come una tavola di legno, per farci riconoscere come luoghi familiari. Né deve meravigliare che Del Donno abbia riconosciuto un debito decisivo per il suo lavoro a un artista come Rauschenberg ("io ho vari `padrini', ma quello che in me ha provocato lo shock è stato Rauschenberg, perchè mi ha fatto conoscere 1'azzardo, la libertà e la manipolazione di varie tecniche"): il fatto è che 1'artista americano apre sull'universo metropolitano moderno, segnato dalla produzione a dai consumi di massa, ma porta con sè una capacità di prelievo e di manipolazione che appartengono a una dimensione antropologicamente antichissima, legata all'infanzia dell'uomo, come specie e come individuo, per cui nella sua opera si verifica un corto circuito tra ciò che appartiene all'universo tecnologicamente più avanzato e ciò che appartiene a un funzionamento della mente che possiamo definire primitivo. Si comprende meglio, a questo punto, il senso di una immagine ricorrente nel lavoro di Del Donno, quella della tagliola, che acquista per giunta una dimensione gigante, come una immagine onirica.s Certo, la tagliola è l'emblema di una condizione di prigionia, di impossibilità vitale (come lo sono le icone della gabbia a della civetta impagliata, una anche quella del tubo-tunnel), ma ha nello stesso tempo una sua pregnanza concreta, legata proprio alla vertiginosa sincronia di arcaico e di moderno realizzata dall'opera di Del Donno. E da questo punto di vista ha ragione Mirella Bentivoglio quando scrive, a proposito delle "grandi tagliole, cresciute a misura d'uomo come in un paese di Swift", che "la dimensione era 1'elemento linguistico che portava la forma di quegli strumenti sul versante simbolico; il loro profilo, dilatato, assumeva nello spazio 1'ambigua forza, grafica a non, dell'ideogrammascultura". Un'arte come antropologia culturale, dunque, come scavo nelle profondità del passato a partire dalle tracce che questo ha lasciato in mezzo a noi e che convivono con gli oggetti e le immagini dell'universo tecnico moderno. Sincronia, compresenza, quindi, e non recupero "colto", di tipo "anacronistico" e simili: nell'opera di Del Donno non c'è nessuna indulgenza verso la citazione e il remake; c'è piuttosto il prelievo e il rifacimento, come quando ci serviamo di un vecchio utensile o di un oggetto abbandonato e li adattiamo a nuovi usi. Di qui, un altro aspetto importante del lavoro di Del Donno, la sua componente fabbrile, affidata a un gesto robusto e sicuro, che tratta le materie e i supporti con profonda conoscenza, con una familiarità che rivela una lunga consuetudine, propria di una cultura contadina. Tutto ciò che circonda 1'artista ha un suo preciso valore d'uso a prima di essere gettato nei rifiuti ha diritto a un'attenta riconsiderazione, per vedere se non possa essere riconvertito in un nuovo attrezzo per la nostra vita quotidiana. Anche 1'opera di Del Donno assume pertanto il senso di una combine-painting, in cui il dato preesistente, per lo più supporti poveri di legno, di varie dimensioni a forme, viene assunto e riconvertito in pittura mediante un gesto che agisce con forza manipolando colori e materie a trasformandoli in segni violenti come graffiti o lievi e veloci come una pittura-scrittura. Da questo punto di vista appaiono particolarmente significativi gli inchiostri eseguiti dall'artista agli inizi degli anni Cinquanta, legati alle esigenze della rappresentazione (vedute della città natale, per lo più), ma già consegnati a un segno deciso che rivendica una propria, piena autonomia strutturale e che è stato paragonato, non senza una qualche ragione, al segno di un Hartung o di un Kline. Il gesto informale ha avuto ed ha, infatti, un ruolo assolutamente primario nel lavoro di Del Donno; costituisce, in un certo senso, il trait d'union che tiene insieme le diverse fasi del lavoro dell'artista, dagli inizi, sopra ricordati, fino alle opere recenti caratterizzate da una vigorosa ripresa di una pittura gestuale. Ma anche in questo caso il gesto si carica, nella poetica di Del Donno, di un significato particolare, di veicolo di espressione-strutturazione dell'interna forza pulsionale e quindi di momento di relazione tra interno ed esterno, soggetto a oggetto, arte e natura.